Quando sono dovute le spese legali dall'impresa assicuratrice, per assistenza svolta a favore del danneggiato.
Con questa recente sentenza la Corte di Cassazione Sezione III ha chiarito alcuni aspetti giuridici riguardanti la materia del risarcimento danno in caso di sinistro stradale.
In particolare, prendendo spunto dall’art. 9 reg. n. 254/2006 2° comma, la Corte ha precisato quando la compagnia assicurativa è tenuta a rimborsare anche le spese legali del danneggiato.
Infatti, seguendo il tenore letterale dell’art. 9 2° comma reg. n. 254/2006 “…sugli importi corrisposti non sono dovuti compensi per la consulenza o assistenza professionale di cui si sia avvalso il danneggiato…” quando questi, abbia accettato la somma offerta dall’impresa assicuratrice.
Tuttavia, precisa la Corte, seguendo un precedente orientamento giurisprudenziale, tale norma deve necessariamente essere interpretata all’interno di un contesto giuridico più ampio, che ricomprenda anche la speciale procedura prevista per il risarcimento del danno da circolazione stradale, ove -per l’appunto - è consentito al danneggiato “di farsi assistere da un legale di sua fiducia” nella richiesta di risarcimento diretto, e conseguentemente” di farsi riconoscere il rimborso delle relative spese legali sostenute” (Corte di Cass. n. 2275/2006; Corte di Cass. n. 11606/2005).
Pertanto, “i compensi corrisposti dal danneggiato al proprio avvocato per l’attività stragiudiziale - eventualmente svolta - devono poter formare oggetto di risarcimento nei confronti dell’altra parte a titolo di danno emergente, quando - queste - siano state necessarie e giustificate”, dal momento che ciò che rileva ai fini della risarcibilità del danno, specifica la Corte, è unicamente la sussistenza di un valido e diretto nesso causale tra il sinistro e la spesa dovuta.
Dunque, seguendo le logiche intessute dalla stessa Corte di Cassazione con la sentenza n. 11154 del 29 maggio 2015 , le spese legali saranno sempre risarcibili, quando il sinistro presenti “particolari problemi giuridici, ovvero quando la vittima non abbia ricevuto la dovuta assistenza dal proprio assicuratore”; mentre - di contro - tali spese legali non saranno risarcibili quando “ la gestione del sinistro non presenti (fin dall’inizio) difficoltà, i danni da esso derivati siano - reputabili - modestissimi, e l’assicuratore abbia prontamente offerto la dovuta assistenza al danneggiato”.
In altre parole, il problema delle spese legali va correttamente posto in termini di causalità ex art. 1223 cod. civ. e non di risarcibilità, posto che l’art. 9 2° comma reg. n. 254/2006, se interpretato in senso letterale, deve necessariamente essere disapplicato, non solo perché in contrasto con l’art. 3 e 24 Cost. (per la quale i regolamenti in contrasto con la Costituzione, sono disapplicabili dal giudice ordinario, in quanto atti amministrativi, in senso ampio), ma anche e soprattutto perché “la risarcibilità o meno del danno dipende dalla sua natura giuridica, e non dal suo contenuto economico”.
Concludendo, secondo quanto statuito dalla Corte di Cassazione, non può mai ammettersi che un danno altrimenti risarcibile, perda tale sua qualità solo perché accompagnato da una richiesta - per altro legittima - di rimborso delle spese legali, sostenute dal danneggiato, quando tra il sinistro occorso e le spese sostenute dal danneggiato per richiedere all’impresa assicuratrice la dovuta assistenza, sussista un nesso causale, ex art. 1223 cod. civ., che prescinde da quello di risarcibilità.
Restano, peraltro, ferme le problematiche che si incontrano nella prassi quotidiana nell’interpretare il concetto di “dovuta assistenza” da parte dell’assicuratore: il fatto di inviare repentinamente una seppur minima somma per non incorrere in sanzioni da parte di IVASS equivale a soddisfare tale obbligo di dovuta assistenza?
Avv. Pietro Carlo Ferrario
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza n. 11154 del 20 febbraio 2015 depositata in data 29 maggio 2015
(Presidente Segreto - Relatore Carleo)
In data 12.2. 2008 V. V., assicurato per i rischi della circolazione della propria autovettura Fiat Brava, faceva pervenire al proprio assicuratore, la H. Ass. Spa, richiesta di risarcimento diretto dei danni subiti dalla propria vettura in un incidente, verificatosi 1’1.2.2008, causato dalla colpevole condotta di guida di V. C., conducente dell’auto Seat Ibiza tg ….... di proprietà di D. C.. Il successivo 8 aprile 2008, la H. trasmetteva al V. a mezzo di una raccomandata, indirizzata al suo legale, l’importo di E 1.650,00 per spese di riparazioni dell’auto e fermo tecnico.
L’avvocato la tratteneva solo in acconto, perché mancavano le spese legali. In data 11 aprile 2008 il V.richiedeva la notifica di citazione in giudizio della compagnia assicuratrice davanti al GdP di Firenze, il quale rigettava la domanda, ritenendo che le spese non erano dovute. Avverso tale decisione il V. proponeva appello ed in esito al giudizio il Tribunale di Firenze con sentenza depositata in data 18 febbraio 2011 condannava la compagnia H. anche al pagamento delle spese stragiudiziali., ritenendo che esse costituissero pur sempre delle spese vive. Avverso la detta sentenza la soccombente ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi, illustrato da memoria. Resiste il V. con controricorso.
Con il primo motivo, articolato sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cpc, la ricorrente deduce che il Tribunale l’avrebbe condannata oltre i limiti della domanda proposta dal V. in primo grado, in quanto il contenzioso rassegnato al Giudice di pace era costituito “dall’asserito mancato adempimento da parte della H Ass ai propri doveri di assicuratore nel termine di legge” (v. pag.ll) mentre in appello il V. aveva presentato una domanda nuova, riguardante le spese di assistenza stragiudiziale, su cui il giudice di appello si pronunciava.
La doglianza non coglie nel segno. A riguardo, deve premettersi che l’interpretazione della domanda è attività discrezionale del giudice di merito la quale, risolvendosi in un tipico accertamento di fatto è censurabile in sede di legittimità solo sotto il profilo dell’esistenza, sufficienza e logicità della motivazione, profilo che nella specie non è stato dedotto.
Nella fattispecie, il giudice di appello ha comunque con congrua motivazione escluso che il V. avesse proposto una domanda in primo grado ed altra in appello – poiché in entrambi aveva fatto valere il suo diritto alle spese stragiudiziali sottolineando in particolare che l’assicuratore aveva fatto pervenire al difensore del V. un’offerta risarcitoria con lettera raccomandata dell’8.4.2008, pervenuta in data 11.4.2008 (cioè cinque giorni prima della notifica dell’atto introduttivo) e che detta offerta non era stata accettata dal danneggiato in quanto non comprensiva delle spese per competenze legali (pari all’importo non contestato nel quantum di € 682,99 di cui alla fattura n.31 del 23.4.08 (doc. 8 fase, di 1° grado di parte appellante).
Ciò posto, poiché, al fine di una corretta interpretazione di una domanda, occorre individuare l’effettiva volontà della parte e quindi il contenuto sostanziale della pretesa in una alle finalità in concreto perseguite, tenendo conto sia della volontà espressamente formulata sia di quella che possa implicitamente o indirettamente essere desunta dalle deduzioni o dalle richieste, dal tipo e dai limiti dell’azione proposta, dal comportamento processuale assunto, deve escludersi che la richiesta riguardante le spese di assistenza stragiudiziale costituisse una domanda nuova avanzata dal V. per la prima volta nel giudizio di seconde cure. Ne deriva pertanto l’infondatezza della censura esaminata.
Passando alle successive doglianze, va rilevato che la ricorrente, con il secondo motivo ha lamentato l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata per non avere il giudice di Appello considerato esaurientemente che l’accertamento sul quantum del danno materiale era stato oggetto di un accordo non contestato, non risultando questioni per la lievissima differenza sul “fermo tecnico”; che comunque il V. era stato avvertito che quanto pagatogli potesse essere considerato solo un acconto e che, ciò malgrado, aveva posto mano alla causa senza alcun preavviso nel cinquantacinquesimo giorno successivo alla richiesta di risarcimento in forma diretta.
Inoltre – ed il rilievo sostanzia il terzo motivo, per violazione e falsa applicazione dell’art.9 dpr n.254/2006 – il giudice d’appello avrebbe erroneamente attribuito alla H Ass l’obbligo di corrispondere il rimborso di spese “stragiudiziali” indebite, non essendo nulla dovuto a titolo di assistenza legale quando l’offerta tempestiva corrisponda all’effettivo dovuto, e peraltro incognite nel loro ammontare.
I motivi in questione, che vanno esaminati congiuntamente prospettando, sia pure sotto profili diversi, ragioni di censura connesse tra loro, sono fondati e meritano accoglimento.
Va, anzitutto esaminato il terzo motivo. A riguardo, torna utile premettere che l’art. 9. reg. n. 254/2006 – Assistenza tecnica e informativa ai danneggiati – al comma secondo, statuisce testualmente: “Nel caso in cui la somma offerta dall’impresa di assicurazione sia accettata dal danneggiato, sugli importi corrisposti non sono dovuti compensi per la consulenza o assistenza professionale di cui si sia avvalso il danneggiato diversa da quella medico-legale per i danni alla persona”.
Le questioni di costituzionalità sono state dichiarate inammissibili in merito a tale articolo in quanto norma regolamentare, come tale, sottratta al giudizio di legittimità. Senza trascurare che il giudice rimettente avrebbe dovuto cercare altra interpretazione del complesso normativo di cui agli artt. 145 – 149 e Cod. ass. e 9 reg., verificando se una interpretazione costituzionalmente orientata della norma impugnata avrebbe potuto consentire, “accanto all’azione diretta contro la compagnia assicuratrice del veicolo utilizzato, la persistenza della tutela tradizionale nei confronti del responsabile civile, dal momento che il Codice delle Ass. si è limitato a rafforzare la posizione dell’assicurato rimasto danneggiato, considerato soggetto debole, legittimandolo ad agire direttamente nei confronti della propria compagnia assicuratrice, senza peraltro togliergli la possibilità di fare valere i suoi diritti secondo i principi della responsabilità civile dell’autore del fatto dannoso” (v. Corte cost., 28/05/2010, n. 192).
Ora, prescindendo dai profili di illegittimità costituzionali, giova aggiungere che la norma regolamentare si fonda sulla delega contenuta nell’art. 150, 1° co., lett. d) , c. ass., il quale demanda all’esecutivo di determinare, con proprio regolamento, «i limiti e le condizioni di risarcibilità dei danni accessori».
Tale previsione non è di per sé molto chiara, in quanto alla dottrina ed alla giurisprudenza era sinora — sconosciuta la distinzione tra “danno principale” e “danni accessori”.
Si potrebbe pensare forse al danno da ritardato adempimento dell’obbligazione risarcitoria, ma in questo caso oggetto della previsione è la stessa obbligazione risarcitoria, non il danno, il quale o c’è o non c’è, ma se esiste non si vede come possa dividersi in principale ed accessorio. Il regolamento ha illuminato questa ambiguità, chiarendo in sostanza che se il danneggiato accetta l’offerta, non gli è dovuto alcun risarcimento per il danno eventualmente consistito nelle spese legali, nelle spese peritali di stima del danno al veicolo o di altri danni a cose (ad es., compenso ad un commercialista per una perizia di stima del danno patrimoniale derivato dalla perdita della capacità di guadagno o dall’anticipato pensionamento).
Tale previsione, tuttavia, desta varie perplessità. In primo luogo, va rilevato che secondo la giurisprudenza di questa Corte, nella speciale procedura per il risarcimento del danno da circolazione stradale, ” il danneggiato ha facoltà, in ragione del suo diritto di difesa, costituzionalmente garantito, di farsi assistere da un legale di fiducia e, in ipotesi di composizione bonaria della vertenza, di farsi riconoscere il rimborso delle relative spese legali; se invece la pretesa risarcitoria sfocia in un giudizio nel quale il richiedente sia vittorioso, le spese legali sostenute nella fase precedente all’instaurazione del giudizio divengono una componente del danno da liquidare e, come tali devono essere chieste e liquidate sotto forma di spese vive o spese giudiziali. (Cass. n. 2275/06, Cass.11606/2005).
Ora, anche qualora non si volesse condividere l’orientamento giurisprudenziale riportato, resta il fatto che i compensi corrisposti dal danneggiato al proprio avvocato (o ad un perito diverso da quello medico legale) per l’attività stragiudiziale devono poter formare oggetto di domanda di risarcimento nei confronti dell’altra parte a titolo di danno emergente, quando siano state necessarie e giustificate.
Tanto si desume dal potere del giudice, ex art. 92, 1° co., c.p.c., di escludere dalla ripetizione le spese sostenute dalla parte vittoriosa, ove ritenute eccessive o superflue, ed applicabile anche agli effetti della liquidazione del danno rappresentato dalle spese stragiudiziali. Pertanto una norma regolamentare (e quindi una fonte di secondo grado) che escluda a priori il diritto al risarcimento di un tipo di danno che la legge (e quindi una fonte di primo grado) considera altrimenti risarcibile, appare difficilmente compatibile con gli artt. 3 e 24 Cost., ed è perciò nulla, alla luce del principio secondo cui i regolamenti in contrasto con la Costituzione, se non sono sindacabili dalla Corte costituzionali, perche privi di forza di legge, sono comunque disapplicabili dal giudice ordinario, in quanto atti amministrativi, in senso ampio.
In secondo luogo, l’interpretazione della norma potrebbe produrre una vera e propria eterogenesi dei suoi fini. Infatti, come accennato, il rimborso delle spese legali non è dovuto solo se il danneggiato accetti l’offerta dell’assicuratore: e dunque è agevole prevedere che il danneggiato tenderà a rifiutare qualsiasi offerta dall’assicuratore, se già ha chiesto assistenza legale o tecnica.
Senonchè, osserva questa Corte che la risarcibilità o meno del danno (di qualsiasi danno) dipende dalla sua natura giuridica, non dal suo contenuto economico. Cosi, un danno non patrimoniale potrà non essere risarcibile perché non rientrante nella previsione dell’art. 2059 c.c.; un danno patrimoniale potrà non essere risarcibile perchè causato dalla vittima a se stessa, ex art. 1227 c.c.; ma certamente non può mai ammettersi che un danno, altrimenti risarcibile, perda tale sua qualità solo perchè sia consistito nell’avere il danneggiato effettuato un esborso in favore di Tizio piuttosto che di Caio.
Orbene, in tema di danni consìstiti in spese erogate a professionisti di cui danneggiato si sia avvalso per ottenere il risarcimento del danno, quel che rileva ai fini della risarcibilità è unicamente la sussistenza di un valido e diretto nesso causale tra il sinistro e la spesa. Dunque le spese consistite in compensi professionali saranno risarcibili o meno non già in base alla veste del percettore (sì al medico legale, no all’avvocato), ma in base alla loro effettiva necessità: dovrà perciò ritenersi sempre risarcibile la spesa per compensare un legale, quando il sinistro presentava particolari problemi giuridici, ovvero quando la vittima non ha ricevuto la dovuta assistenza, ex art. 9, co. l, d.p.r. 254/2006, dal proprio assicuratore. Per contra, sarà sempre irrisarcibile la spesa per compensi all’avvocato, quando la gestione del sinistro non presentava alcuna difficoltà, i danni da esso derivati erano modestissimi, e l’assicuratore aveva prontamente offerto la dovuta assistenza al danneggiato. Quindi il problema delle spese legali va correttamente posto in termini di “causalità”, ex art. 1223 c.c., e non di risarcibilità”. Da ciò consegue, ovviamente, che l’art. 9, 2° co., d.p.r. 254/2006, se inteso nel senso che esso vieta tout court la risarcibilità del danno consistito nell’erogazione di spese legali, deve essere ritenuto nullo per contrasto con l’art. 24 Cost., e va disapplicato. Premesso ciò, la sentenza impugnata è errata nella parte in cui non ha valutato se le spese stragiudiziali richieste erano necessitate e giustificate dalla complessità del caso e dalle contestazioni sorte con l’assicuratore richiesto del pagamento o dall’inerzia di assistenza adeguata dello stesso. Inoltre (e con riguardo al secondo motivo), va osservato che l’art. 145 del codice Ass. statuisce che la richiesta di risarcimento deve essere inoltrata, in fattispecie di soli danni alle cose, almeno 60 giorni prima dell’azione. La richiesta deve essere proposta nei termini di cui all’art, 148 cod. ass. . Ciò, a pena di improponibilità della domanda. Ciò significa che se tale richiesta non contenga tutte le voci di danno, ma ne escluda qualcuna, la domanda è improponibile limitatamente a tale voce esclusa dalla richiesta. Peraltro, l’improponibilità della domanda è rilevabile anche d’ufficio e il predetto onere, imposto al danneggiato di richiedere il risarcimento almeno 60 giorni prima di proporre relativo giudizio, costituisce condizione di improponibilità della domanda risarcitoria la cui carenza è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti (Cass. civ., Sez. III, 06/03/2012, n. 3449). Ne consegue l’accoglimento anche del secondo motivo in quanto non è l’assicuratore tenuto a compulsare il danneggiato in merito ad eventuali spese legali stragiudiziali necessarie nel caso concreto, ma deve essere questi che le ne faccia richiesta ex art. 145 c. ass., norma che si applica anche nell’ipotesi di richiesta al proprio assicuratore ex art. 149 codice delle Ass.. Tutto ciò premesso e considerato, il ricorso per cassazione deve essere accolto, limitatamente al secondo e terzo motivo, e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione. Con l’ulteriore conseguenza che, occorrendo un rinnovato esame della controversia da condursi nell’osservanza dei principi fissati, la causa va rinviata al Tribunale di Firenze nella persona di diverso Magistrato, che provvederà anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità
P.Q.M.
accoglie il secondo ed il terzo motivo del ricorso, rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio al Tribunale di Firenze, in persona di diverso magistrato, che provvederà anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità.
Così deciso in Roma in camera di Consiglio in data 20.2.2015.
Il Consigliere Estensore
Il Presidente
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A cura dell’Avv. Pietro Ferrario –
Studio Legale Associato Lucarelli & Ferrario
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